Si parla di questi tre concetti quando ci relazioniamo con le persone che ci circondano e fanno parte della nostra vita a tanti livelli differenti. Sono frequenti le situazioni in cui si è in disaccordo, oppure in cui gli interessi o le necessità della persona che ci sta di fronte non vanno nella stessa direzione. Questo può accadere ad esempio quando un collega cerca di affidarci un suo compito, quando il cane di un vicino di casa abbaia molto, quando un amico arriva in ritardo, o ancora quando una persona con cui si convive utilizza gli spazi comuni senza che vi sia un accordo sul come. Questi fatti non costituiscono in sé delle azioni “sbagliate”, semmai argomenti che possono costituire un motivo di disaccordo. Stare assieme agli altri significa anche portare assieme a noi le nostre preferenze, i nostri desideri ed i nostri bisogni. Quando accade che non li sentiamo rispettati allora spesso subentrano risentimento e rabbia: è un’emozione positiva, perché indica che qualcosa non è andato nel verso desiderato, ci sentiamo poco considerati, prevaricati o comunque in una condizione di disparità e ingiustizia.

In questo genere di situazioni ci si può porre in modi diversi.

Avere una risposta passiva significa, nell’ambito delle interazioni sociali, non dare spazio a ciò che è un proprio sentimento o una propria necessità, talvolta anche un nostro dovere. Questo può accadere perché all’idea di non compiacere l’aspettativa dell’altro si nutre il timore di sentirsi in colpa, rifiutati o derisi, oppure di ledere la relazione con l’altro. Ciò implica il fatto che il sentimento di rabbia non genera nessuna azione e le cose non cambiano. Può accadere ad esempio che qualcuno in un negozio passi davanti alla fila e la reazione sia di non reagire affatto, ma contemporaneamente si pensi che non sia corretto. In queste situazioni ci si ritrova poi generalmente in un senso di insoddisfazione, frustrazione e di poca efficacia personale. I rapporti personali sono così effettivamente contaminati da queste scelte, perché ci si sente “a credito”: si rimane con l’idea che le persone ci dovrebbero più attenzioni o più rispetto.

Agire in maniera aggressiva significa invece portare in primo piano le proprie necessità o priorità senza considerare i bisogni dell’altro, ignorandoli o scavalcandoli. Questo comportamento può essere attuato in maniera più o meno esplicita, a seconda del fatto che ci si mostri effettivamente “aggressivi” nelle modalità gestuali e paraverbali oppure si utilizzi solo il verbale. Anche con un atteggiamento passivo si può essere in realtà aggressivi. Questo accade ad esempio se una persona utilizza il silenzio come risposta alle esigenze dell’altro (innescando in lui eventualmente dubbio o senso di colpa ed influenzando così una sua scelta).

Essere assertivi significa dare importanza ai propri desideri ed alle proprie necessità, pur tenendo in considerazione i bisogni della persona con cui ci si relaziona. Questo implica rimanere in ascolto dell’altra persona, però senza che questo porti ad annullare o minimizzare ciò che riteniamo importante per noi. È importante che ci si senta liberi di poter esprimere al meglio le emozioni che ci appartengono (il proprio disaccordo, dispiacere, rabbia) all’interno delle interazioni, in maniera sempre rispettosa e consona, in modo tale che anche per l’altro sia comprensibile il nostro punto di vista. Il fatto di poter mostrare le nostre emozioni può aiutare gli altri a capire cosa non ci piace e come siamo fatti; trovare così un punto d’incontro può rendere i nostri rapporti più ricchi ed appaganti.

A volte è complicato essere assertivi, perché le esperienze che abbiamo vissuto tendono a condizionare il modo in cui si reagisce alle situazioni in cui si si sente “attaccati” o in difficoltà. Questo fa sì che più spesso senza accorgersene si attui una modalità aggressiva oppure passiva, magari pensando che sia l’unica possibile.

 

Quindi è ideale per favorire il nostro benessere essere sempre assertivi? Non proprio. Alcune circostanze richiedono di dover essere “aggressivi”, ad esempio per difendersi, mentre in situazioni ancora diverse è più opportuno tenere un atteggiamento “passivo”, perché magari parlare o agire in maniera spontanea in quel momento non porterebbe a delle buone conseguenze.

La migliore posizione per una persona è senz’altro quella di scegliere consapevolmente, in relazione a ciò che produce il risultato più conveniente o appagante, sapendo che ciò che ci si porta dentro può sempre essere, in maniera assertiva, espresso e condiviso.

 

Bibliografia:

  • Laurent Samuel, Affermazione di sé, in Come risolvere da soli i problemi psicologici, 1ª ed., Milano, R.C.S. Libri & Grandi Opere, 1993, pp. 8–13, ISBN 88-454-0603-2 (pubblicato nel periodico mensile "Tascabili Sonzogno" - Anno V - Numero 67).
  • Robert E. Alberti e Michael L. Emmons, Essere assertivi. Come imparare a farsi rispettare senza prevaricare gli altri, Il Sole 24 Ore, 2003.
  • Nicola Iannaccone, Stop al bullismo. Strategie per ridurre i comportamenti aggressivi e passivi a scuola, Edizioni La Meridiana, 2005, ISBN 88-89197-29-3.
  • D. Bonenti e A. Meneghelli, Assertività e training assertivo. Guida per l'apprendimento in ambito professionale, Milano, Franco Angeli, 1997.
  • R. Anchisi e M. Gambotto Dessy, Non solo comunicare. Teoria e pratica del comportamento assertivo, Torino, Libreria Cortina, 1995.